giovedì 29 dicembre 2011

Dedicato agli scavatori

C418 è il compositore delle musiche di Minecraft, un gioco orribile per chi non c'ha mai giocato, un gioco da passarci la vita per chi l'ha frequentato.

domenica 23 ottobre 2011

Western Banks

"Inside Job" documentario del 2010. Uolstrittari, cocaina e night club...rock & roll.
E tanti falliti.

PS: Non sto qui a mettere il link allo streaming diretto, ma tanto si sa come rimediarlo.

martedì 18 ottobre 2011

Piste

Recentissimo documentario trasmesso dal canale franco-tedesco Arte, di Fabrizio Calvi e Jean-cristophe Klotz. E' in francese.

martedì 24 maggio 2011

Quo-quo-quà-que-quì

La Privata Repubblica e Piste (che tra l'altro spara un titolone geniale) analizzano il limite della visionarietà umana.
Il confine tra genialità, e palle sudate.
Chi vincerà la sfida tra il robotico santo ed il campanaro beato?

Red is leaving us

Andate subito a leggervi lo tsunami di battute che si sta beccando Red Ronnie sul suo profilo facebook, ci sono delle chicche d'antologia (quasi alla Gianfranco Marziano O' Faraone), uno tsunami di derisione per un Ronnie che, oltre a fare da qualche anno il Klaus Davi della Moratti, s'è imbarcato alla grande in quel tormentone inziato a suon di "Pisapia farà di Milano la nuova zingarissima e mussulmanissima Stalingrado" (o giù di lì).
Bombardato da 80.000 messaggi al giorno sulla bacheca, lo Rosso Ronni ha lasciato perde.
Ma il materiale che viene messo è di gran qualità, da facebookkini subito, tipo:

mercoledì 4 maggio 2011

Pubblicità

Citazio da 610.
Messaggio promozionale

Venerdì serata collettiva dei fratelli del profeta al centro sociale "Pagace er pranzo", via Casal dei Morti 5221. Serata a favore dell'impegno unito e coerente contro tutti i presidi della lotta al sistema da parte dei movimenti giovanili sulle infrastrutture. Cucina biovegan e musica africana dei maori del Bangladesh, con i macrobiotici. Distribuzione gratuita di birra bioorganolettica e dell'opuscolo sulla lotta all'impegno sulla socioresistenza nei lager. Proiezione del corto "Libertà per i fratelli di Magarabaua", di Remo Pannocchia. Concerto di pizzica e ballate scroto-israeliane con i Contaminatio. A chiudere: discoteca afrofinnica del Dj Bobo e musica organica di mantenimento.

martedì 5 aprile 2011

Gente di bottega

Tanto per leggere un po' di cose diverse dal solito, verosimili o no. Da Napolibera.eu, che ormai lavora solo via email (il sito è fermo a un anno fa).
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FONDI NERI-PCI/PDS: QUANDO MIELI SCONFESSO' "MANI PULITE"....

Gentile napoLibera,
leggiamo oggi su di un quotidiano milanese (non il Corsera) di una vicenda che riguarda un certo "Oak Fund International", domiciliato al Caribe come è d' uopo, E SUL QUALE LA PROCURA DI MILANO, competente per l' indagine, avrebbe APPOSTO IL DIVIETO DI NOMINARNE IL RELATIVO TITOLARE, cioè MASSIMO D' ALEMA: come scoperto dalla famosa security-Telecom di Cipriani e Tavaroli, all' epoca della Telecom di Tronchetti-Provera. Prima cioè che Franco Bernabé von Rotschild, bipartisamente nominato da PRODI E 3MONTI IN TESTA ALLA STESSA TELECOM, secretasse quei fatti egli stesso in persona....Ma cosa c' entra Telecom coi 'fondi neri D' Alema' sui quali le toghe omertose della Procura di Milano hanno apposto il " NO TRESPASSING ! ", "OFF LIMITS", "VERBOTEN" eccetera, manco fosse un segreto militare ?
(voce dal sen fuggita)

NL--- napoLibera ha già argomentato su questi fatti, e tuttavia 'repetita juvant', specie quando è il momento propizio...

lunedì 21 marzo 2011

Kebab for breakfast

Libia. Dalla guerra civile alla guerra del petrolio
http://www.radiocittaperta.it/index.php?option=com_content&task=view&id=6142&Itemid=9

No alla guerra per il petrolio!Perché è saltato l’equilibrio di potere di Gheddafi? Chi sono “quelli di Bengasi”? Questa è una vera guerra del petrolio, rivelatrice della competizione globale e piena di incognite

di Sergio Cararo (Direttore di Contropiano, Giornale della Rete dei Comunisti)

“E’ una rivolta dei giovani. Sono loro che hanno iniziato la rivoluzione… noi ora la stiamo completando”. In questa breve considerazione che il colonnello Tarek Saad Hussein riferisce al settimanale statunitense “Time” a fine febbraio, è possibile comprendere gran parte del processo che è stato impropriamente definito come “rivoluzione libica” (1)
Il col. Hussein è uno degli alti ufficiali del regime di Gheddafi passato quasi subito con i ribelli di Bengasi. Insieme a lui c’è tutto un settore rilevante dell’apparato statale del regime che ha dato vita allo scontro mortale con Gheddafi per sostituirlo con una nuova leadership. E’ vero, hanno mandato prima avanti i giovani. A Bengasi il 15 febbraio erano stati i giovani e i familiari dei prigionieri politici della rivolta del 2006 nella capitale della Cirenaica ad essere scesi in piazza davanti al commissariato dentro cui era stato rinchiuso l’avvocato Ferhi Tarbel, difensore degli arrestati nella rivolta di cinque anni prima. La manifestazione del 15 febbraio era stata repressa duramente – come purtroppo è la norma in Libia e in tutti i paesi del Medio Oriente. Due giorni dopo, una nuova manifestazione, vedeva però i manifestanti, già armati, passare subito all’escalation sul piano militare contro i poliziotti del regime di Gheddafi (2)
Una tempistica rapidissima e bruciante che non ha avuto neanche il tempo di manifestarsi come rivolta popolare di piazza per diventare subito una guerra civile. E’ vero, hanno iniziato i giovani, esattamente come avevano fatto i loro coetanei in Tunisia, Egitto, Algeria o – in tempi e modi diversi – nelle strade di Roma o nelle banlieues francesi. Avevano tutte le ragioni per farlo, anche nella Libia di Gheddafi. Ma dietro i giovani libici, hanno preso subito la situazione in mano – piegandola ai loro interessi - gli uomini del vecchio apparato di regime in rotta con il leader e ansiosi di ridefinire gli equilibri interni sconvolti dalla crisi finanziaria del 2008/2009 e dalle misure “liberiste ma non liberali” introdotte da Gheddafi nel 2003.
La brusca e feroce escalation militare nella brevissima rivolta popolare libica, ci ha convinti che quella avviatasi era piuttosto una guerra civile e per alcuni aspetti con tutte le caratteristiche di una “guerra di secessione” come avvenuto negli anni Novanta in Jugoslavia o più recentemente in Sudan. Una guerra civile ed una possibile secessione della Libia alla quale non sono certo estranei gli interessi delle potenze europee e degli USA sul petrolio e il gas libico.
Su questa valutazione abbiamo introdotto una prima chiave di lettura sulla crisi in Libia che ci ha portato molti consensi ma anche numerose critiche in molti ambiti della sinistra, persino di quella più radicale.
Con il brutale e consueto intervento militare, con i bombardamenti sulla Libia da parte di Francia, USA, Gran Bretagna ed altre potenze della NATO, la discussione potrebbe dirsi conclusa attraverso la realtà dei fatti. I fatti spiegano la realtà meglio di mille opinioni. Eppure riteniamo che questa vicenda della Libia debba e possa prestarsi ad un lavoro di chiarezza, informazione, formazione di un punto di vista critico e rivoluzionario della realtà, che stenta enormemente a farsi strada tra tante soggettività della sinistra e degli stessi attivisti dei movimenti No war.

Perché è saltato l’equilibrio su cui si reggeva il potere di Gheddafi?

Uno splendido articolo del direttore del giornale arabo Al Quds Al Arabi, segnala la preoccupazione per uno scenario che spiani la strada a quello che l’autore definisce il “Chalabi libico”. Abd al Bari Atwan, direttore palestinese di questo autorevolissimo giornale in lingua araba, descrive perfettamente la trappola dentro cui Gheddafi è caduto – volontariamente – per mano dei suoi nuovi amici occidentali, i quali, secondo Atwan, “hanno utilizzato con il colonnello libico lo stesso scenario che avevano utilizzato con il presidente iracheno Saddam Hussein, con alcune necessarie modifiche che sono il risultato delle mutate condizioni e della differente personalità di Gheddafi”. Il colonnello si è disperato perché i suoi nuovi amici occidentali non lo hanno aiutato mentre i ribelli di Bengasi lo stavano accerchiando. Se l’alleanza occidentale era stata costretta a sbarazzarsi di Mubarak, afferma Atwan, perché mai sarebbe dovuta intervenire a salvare Gheddafi? L’illusione del leader libico derivava dalle concessioni fatte a USA e Gran Bretagna nel 2000 e che nel 2003 lohanno portato fuori dalla lista nera dei “rogues states” e quindi lontano dai bersagli della guerra infinita scatenata dall’amministrazione Bush nel 2001.

“Washington e Londra hanno utilizzato l’esca della “normalizzazione” e della riabilitazione del regime libico,...

domenica 20 marzo 2011

Ad libicum

E pure stavorta semo iti a fa la guera...
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Dagospia:
1- ORA CHE I CACCIA DI QUELL’IDIOTA DI SARKÒ HANNO INIZIATO A BOMBARDARE I TANK DI GHEDDAFI PREPARIAMOCI A UNA VITA DI MERDA DISSEMINATA DI ATTENTATI TERRORISTICI - 2- NESSUNO DIMENTICA I MISSILI LANCIATI CONTRO LAMPEDUSA NEL 1986. MA CHE DIRE DI QUELLA DISCOTECA FATTA SALTARE IN ARIA A BERLINO SOLO PERCHÉ FREQUENTATA DA SOLDATI USA? IN TEMPI PASSATI I LIBICI HANNO FATTO PRECIPITARE ANCHE DUE AEREI DI LINEA: UNO FRANCESE, PER RAPPRESAGLIA CONTRO L’INTERVENTO IN CIAD; UNO AMERICANO, PER VENDETTA CONTRO IL BOMBARDAMENTO DI TRIPOLI AD OPERA DI REAGAN - 3- CURIOSO: I CACCIA FRANCESI ’RAFALE’ UTILIZZATI CONTRO LA LIBIA SI SONO LEVATI DALLA BASE DI SOLENZARA, NEL SUD DELLA CORSICA. LA STESSA DALLA QUALE PARTÌ TUTTA L’OPERAZIONE ANTI-GHEDDAFI CHE PORTÒ ALL’ABBATTIMENTO DEL DC9 DELL’ITAVIA -

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Libia. Non è una rivolta popolare ma una guerra civile. I dovuti distinguo
di Sergio Cararo
http://www.webalice.it/mario.gangarossa/sottolebandieredelmarxismo_dibattito/2011_02_sergio-cararo_libia-non-e-una-rivolta-popolare-ma-una-guerra-civile.htm

Qualche giorno fa sulle pagine di Peacereporter, giustamente Christian Elia invitava a fare dei distinguo nelle rivolte popolari che stanno cambiando la mappa politica del Medio Oriente. Sarebbe infatti un errore non cogliere le diverse dinamiche e forze soggettive che si sono rese protagoniste di un processo storico atteso, inevitabile ma certamente imprevedibile nella velocità della sua estensione.

Questa accortezza diventa ancora più necessaria nel valutare gli eventi in Libia e le profonde differenze con quanto accaduto negli altri paesi del Maghreb, Tunisia ed Egitto soprattutto. Non solo, occorre anche separare il giudizio su Gheddafi rispetto alle cause e alle conseguenze degli eventi in corso.

In Libia, diversamente che in Tunisia e in Egitto, dobbiamo parlare di guerra civile e non di rivolta popolare. La differenza c’è. Ad esempio i centri strategici (da quelli legati al ciclo energetico a quelli militari) parlano infatti di guerra civile e non di rivolta. L’evacuazione del personale tecnico straniero e dei civili viene inoltre decisa quando il livello di conflitto supera di parecchio quello delle manifestazioni di piazza e degli scontri con la polizia.

In Libia le condizioni della rivolta popolare mancavano di un aspetto non certo secondario (decisivo invece negli altri paesi arabi): quello economico-sociale. I livelli di vita dei libici erano infatti sensibilmente migliori di quelli negli altri paesi. Il 70%della forza lavoro era impiegata nello Stato, i prezzi sussidiati e le rendite petrolifere molto più socializzate.(1)

In Libia non possiamo parlare di rivolta popolare ma di una spaccatura dentro il gruppo dirigente della Jamayria che – diversamente dal conflitto asimmetrico degli scontri nelle piazze tunisine ed egiziane - ha portato immediatamente ad uno scontro militare feroce ed equivalente che ha avuto nella regione storicamente ribelle della Cirenaica islamica la sua base di forza.

Gheddafi, come ha ricordato anche Luciana Castellina su il Manifesto, è stato un valoroso combattente anticolonialista e per anni ha cercato di alimentare focolai di rivolta contro il neocolonialismo in Africa e Medio Oriente. Gli USA, la Gran Bretagna, le organizzazioni islamiche reazionarie hanno cercato spesso di fargliela pagare. Ha costruito intorno a sé un misto di innocua retorica e di verità sui crimini del colonialismo. Lontano dalle frontiere di Israele ha blaterato molto sulla Palestina ma non ha mai agito seriamente. Dopo anni di embargo (e di bombardamenti USA non dimentichiamolo) nel 1999 Gheddafi ha cercato la strada del compromesso con l’imperialismo, soprattutto dopo l’11 settembre, temendo di fare la fine dell’Iraq di Saddam Hussein.(2)

Dal 2003 ha stoppato il processo di socializzazione delle risorse ed ha avviato la liberalizzazioni in economia (sia nel settore energetico che negli altri). Ha ripreso le relazioni con gli USA e l’Unione Europea, Ha consentito a tutte le multinazionali petrolifere di ristabilirsi nel paese. Ha giocato molto sui due elementi di enorme vulnerabilità dell’Europa: il rifornimento energetico e le ondate migratorie dal sud. Su questo ha strappato accordi vantaggiosi (e vergognosi) con l’Unione Europea e soprattutto con l’Italia assicurandogli il pugno di ferro sui disperati che cercano di raggiungere le coste italiane. Non si è avveduto però che quando le cose devono cambiare…cambiano, e che 41 anni al potere sono troppi comunque e per chiunque. A questo si preparavano anche i servizi segreti italiani, forse senza che il Ministro Frattini avesse del tutto chiaro come stavano andando le cose.(3)

Un corrispondente attento e “assai addentro” all’amministrazione USA come Molinari, sottolinea su La Stampa, che gli Stati Uniti sulla Libia hanno una linea diversa da quella sugli altri paesi. “Se in occasione della crisi egiziana l’amministrazione Obama aveva deciso di recitare un ruolo di primo piano per favorire la «transizione ordinata» verso il dopo Mubarak, di fronte alla rivolta libica la scelta è invece differente” scrive infatti Molinari.(4) Che significa? Significa che dietro la guerra civile in Libia è perfettamente leggibile l’aperta ingerenza degli Stati Uniti. Obiettivo? Non solo togliersi di torno un leader arabo odiato, odioso e imprevedibile ma mettere le mani su quello che viene definito “il tassello essenziale della cosiddetta sicurezza energetica europea” (5) ed infine trovare il posto giusto e desiderato per l’Africom, il comando strategico statunitense per Africa e Medio Oriente la cui collocazione proprio sulla sponda sud del Mediterranea era stata rifiutata agli USA dalla vicina Algeria. Tre risultati con un colpo solo! L’unica incognita è rappresentata dall’emirato islamico che i senussiti vogliono instaurare in Cirenaica. Sarà disponibile a convivere con gli interessi USA o sarà una nuova variabile indipendente come Al Qaida?

Infine, ma non per importanza. Lo sviluppo e gli esiti della guerra civile in Libia sembrano lasciar intravedere un intervento militare delle potenze occidentali. Tre navi militari italiani già incrociano al largo della Libia. Gli Stati Uniti spingono Italia e Francia a intervenire e si preparano a farlo in prima persona qualora riescano a crearne le condizioni.

La differenza con quanto è avvenuto in Tunisia ed Egitto appare dunque notevole. La “democrazia” in Libia potrebbe arrivare con le portaerei USA o quelle delle ex potenze coloniali italiana e francese. Non è certo quello per cui si sono battuti i giovani tunisini né il popolo di Tahrir e del Sinai. Se questo è lo scenario allora è meglio la guerra civile che la stabilizzazione imperialista. A meno che anche a sinistra non si voglia lavorare per il re di Prussia o per il ritorno della monarchia!

24 febbraio 2011


1) Dispaccio dell'ADN/Kronos del 22 febbraio

2) Redazionale di www.medarabnews.com del 23 febbraio

3) Il Sole 24 Ore del 23 febbraio

4) La Stampa del 23 febbraio

(5) Redazionale www.medarabnews.com del 23 febbraio

martedì 18 gennaio 2011

Robbe de gobbi e barbette


Un articolo di Vincenzo Vinciguerra, comunque la pensiate sui fatti e sul personaggio.

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IL PASSATO CHE NON PASSA
http://www.marilenagrill.org/NuoviArticoli/Articoli2010/Il%20passato%20che%20non%20passa.htm


Nell'intervista rilasciata ai giornalisti Andrea Sceresini, Nicola Palma e Maria Elena Scandaliato, pubblicata e commentata, nel libro "Piazza Fontana.Noi sapevamo" (edito da Aliberti), il generale Gianadelio Maletti profetizza che la verità su quanto è accaduto in Italia nel dopoguerra, in particolare negli anni Sessanta e Settanta, "un giorno verrà fuori... quando qualcuno morirà" (pp.226-227), e poco prima fra i protagonisti di quegli anni ancora in vita, che la verità la conoscono, aveva fatto riferimento ad un ministro del governo di Silvio Berlusconi in carica dal 2001 al 2006.
Triste sorte,quella di un Paese dove bisogna attendere la morte degli ultimi delinquenti rimasti in vita per conoscere le malefatte di cui sono stati co-protagonisti in passato.
Ma, senza bisogno di attendere la morte di Giulio Andreotti, Arnaldo Forlani, il generale Arnaldo Ferrara, Giorgio Napolitano ed altri oggi ottantenni e novantenni disperatamente attaccati alla vita,e spesso anche alla poltrona, possiamo dire che la verità ormai si conosce ma nessuno vuole trarne le doverose conseguenze.
Se vogliamo che il passato cessi di essere il nostro presente e non condizioni il nostro futuro, esigere che le persone che hanno ricoperto cariche politiche e pubbliche in quegli anni siano allontanati dalla politica e dalle istituzioni, è il primo passo da compiere.
Non si comprende, difatti, quale verità potrà mai essere affermata fino a quando si permetterà a Ignazio La Russa di fare attività politica.
Non servono prove giudiziarie per sapere che Ignazio La Russa è stato fra i protagonisti, come dirigente del Msi di Milano, degli anni di sangue vissuti dal capoluogo lombardo.
Quello che un delinquente da strapazzo, Mauro Addis, chiamava confidenzialmente "Ignazio", ha conosciuto tutti e tutto, ma ovviamente non ha mai detto nulla perchè non può denunciare altri senza autodenunciare se stesso.
L'ex direttore onorario del carcere di Opera, Renato Vallanzasca, in un libro scritto per lui da un giornalista., parlò di un dirigente missino di Milano che pagava la malavita per fare mettere bombe e, senza farne il nome, specificò che in quel momento ricopriva un'alta carica istituzionale: Ignazio La Russa, quando venne pubblicato il libro di Vallanzasca, era vicepresidente della Camera dei deputati.
Serve ricordare le parole dell'ex presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, che di La Russa ebbe a dire che nuotava nel brodo dell'eversione nera o, meglio, che era ad essa attiguo.
Quando, quattro cialtroni missini lanciarono bombe a mano su uno sbarramento di polizia, il 12 aprile 1973, uccidendo l'agente di Ps, Antonio Marino, La Russa c'era, ma secondo lui e i magistrati milanesi, dormiva come il suo compare Franco Maria Servello.
Era sveglio, viceversa, il La Russa quando si è recato a rendere omaggio alla salma di Nico Azzi il mancato autore della strage sul treno Torino-Roma del 7 aprile 1973.
Un gesto significativo, perchè Nico Azzi ed i suoi colleghi erano parte integrante di quell' "eversione di Stato" che doveva rafforzare il Msi dei La Russa e dei Servello per farne un partito di governo.
Le Forse armate italiane hanno perduto il loro onore l'8 settembre 1943. Il fatto di avere oggi Ignazio La Russa come ministro della Difesa, prova che non lo hanno mai riscattato.
Gianfranco Fini è giunto alla carica, di presidente della Camera dei deputati. Ha certo dimenticato quando, nel 1979, senza altra motivazione che la provocazione e la ricerca del disordine dispose, nella sua veste di segretario giovanile del Msi, che venisse fatta una manifestazione nel quartiere "rosso" di Centocelle, a Roma. Ci perse la vita un ragazzo, ucciso da un agente di Ps, ma non è una morte che gli è mai pesata sulla coscienza.
Furbo ma non intelligente, Gianfranco Fini si è sempre battuto per proclamare l'innocenza di Valerio Fioravanti e Francesca Mambro dall'accusa di aver compiuto la strage di Bologna del 2 agosto 1980. Ma, ci ha tenuto a precisare che non ha mai letto gli atti processuali confermando di non aver mai acquisito gli elementi necessari per formarsi un convincimento serio, fondato, sull' innocenza o la colpevolezza dei due stragisti.
E, allora, perchè mai ne proclama l'innocenza? Forse, la risposta si trova nella frase esplicitamente ricattatoria della Mambro: "Noi in galera e loro al governo", dove fra "loro" c'era anche Gianfranco Fini.
Frase che sottolinea come i due componenti dell'italica "famiglia Adams" abbiano vissuto come una profonda ingiustizia la loro condizione di detenuti mentre i loro colleghi di partito stavano ormai al governo, non come fascisti ma in veste di antifascisti.
Certo, Gianfranco Fini ha vissuto dall'alto della sua carica di segretario giovanile del Msi gli anni terribili di Roma, ma come Ignazio La Russa, c'era ma dormiva salvo risvegliarsi per chiedere ed ottenere la scarcerazione dei coniugi Fioravanti.
Con un ministro della Difesa come La Russa e un presidente della Camera dei deputati come Gianfranco Fini, è inutile attendersi che in questo Paese si affermi la verità sul ruolo che il Msi ha ricoperto nella strategia del terrore e del disordine.
Se, poi, come presidente della Repubblica c'è Giorgio Napolitano che, nella sua veste di dirigente nazionale del Pci, avrebbe tanto da raccontare, in sede storica e giudiziaria, su quello che i vertici del Pci hanno conosciuto sulla "guerra a bassa intensità", anche con l'apporto informativo fornito loro dal Kgb sovietico, e invece parla di "ventata di follia", di "fantomatici doppi Stati" ed amenità del genere, è chiaro che il Paese è condannato a non conoscere mai la verità.
In un Paese in cui non esiste più da tempo, un'opposizione politica ma solo un partito unico, ufficialmente frammentato in tanti correnti interne, non resterebbe che concordare con il generale Maletti e attendere la dipartita dei Cossiga, degli Andreotti e dei loro colleghi per ristabilire ed affermare la verità, ma la rassegnazione non fa parte del nostro stile di vita e della nostra personalità.
Continueremo a batterci, nell'attesa della dipartita di costoro, perchè la verità trionfi egualmente e ci liberi dei Fini, dei La Russa, dei tanti come loro che infestano ancora la politica italiana, per assaporare, per la prima volta nella nostra vita, il piacere della libertà.



Vincenzo Vinciguerra, Opera 25 maggio 2010 (Pubblicazione)